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martedì 15 giugno 2010

Feisbuc

lunedì 14 giugno 2010

COMUNICATORE PUBBLICO CHI TI HA DATO LA PATENTE?





Avete mai assistito ad un esame d’italiano in cui si viene interrogati da un docente di matematica? E’quello che fuor di metafora accade oggi in Italia e in Puglia, nei (“pochi”) concorsi pubblici per funzionari e dirigenti Urp (i famosi uffici relazione con il pubblico). La norma richiede che si valuti l’idonea qualificazione dei candidati in materia di comunicazione, promozione e marketing pubblico; la logica, che la valutazione spetti a chi del mestiere. Non crediamo ci siano equivoci ma non va proprio così. Capita spesso di esser giudicati da esperti nel campo del diritto del lavoro o di enti locali; raramente da un competente della materia, anzi diciamolo, da un“comunicatore pubblico”.Vuoi che i comunicatori pubblici siano ancora pochi e poco riconosciuti; vuoi che i temi della trasparenza, dell’innovazione e della comunicazione nella P.A. siano ancora scottanti; vuoi che nei concorsi sia sempre prevista la conoscenza a menadito di codici e codicilli, vuoi quello che vuoi, ma così non va. Lo ripetiamo, è come se ad un esame d’italiano si fosse valutati da un laureato in matematica e venisse chiesto anziché di saper scrivere, di saper far di calcolo, con tutte le conseguenze del caso: inappropriatezza e incompetenza del valutatore; irregolarità dell’esame; probabilità di errore nella scelta del candidato e via discorrendo, con buona pace della specifica competenza richiesta e dell’efficienza delle istituzioni. In questa sede non si vuole certo negare la conoscenza del diritto quale indispensabile strumento che anche il comunicatore pubblico deve contenere nella propria cassetta degli attrezzi, ma non può essere l’unico tra gli strumenti richiesti e soprattutto valutati. Non ci si può dimenticare, che la comunicazione è una leva strategica per raggiungere il traguardo dell’efficienza, dell’economicità e della trasparenza nella P.A. (legge 241/90!) e che non possa essere un indistinto contenitore di tutto e del suo contrario, come ricorda l’Associazione Italiana di Comunicazione Pubblica. Allora perché affidarla a chi non conosce la materia? Vi fidereste per esempio se l’idoneità ad operare di un chirurgo fosse data dal responsabile del patrimonio dell’Asl anziché da un collega più anziano ed esperto?
I limiti alla qualificazione degli Urp (e alla modernizzazione della P.A.) hanno origine proprio dalla colpevole assenza di un approccio sistematico al ruolo del comunicatore a cominciare dal momento delle selezioni. Già soggette per natura a mille variabili, le selezioni, si trasformano in verifiche parziali, che a discapito della preparazione, tracciano ab origine il tragitto in cui il comunicatore dovrà camminare, un tragitto troppo stretto e tortuoso rispetto al ruolo e alle attività di sua competenza. La presenza di valutatori poco ferrati sull’ ”argomento” rappresenta dunque la “prima tessera immobile del domino” in un momento in cui “valutazione” può far rima con “deviazione”: deviazione dal percorso, deviazione dall’intento, deviazione dal viaggio, deviazione dal futuro al passato. Non sarebbe opportuno allora che “i comunicatori fossero giudicati dai comunicatori”? E’ possibile immaginare una sorta di “moral suasion” per chiedere che nelle commissioni pubbliche dei concorsi, anche quando si tratta di comunicazione pubblica ci sia qualcuno che conosca l’argomento, prima garanzia per qualificare la professione e assicurare il corretto funzionamento degli Urp? D’altronde il tema della valutazione è delicato in tutti i settori strategici visto che ad esempio, tra gli apprezzabili propositi dell’Assessore alla Sanità Tommaso Fiore per la scelta dei futuri direttori generali delle Asl, c’è proprio la nomina di commissioni qualificate e competenti, a dimostrazione che da qui parte tutto! Nel caso dei concorsi per gli Urp, se già la presenza di un giornalista tra i selezionatori non è sempre sinonimo di preparazione in materia (è un dibattito oramai datato ma ancora irrisolto quello sul presunto filo inossidabile che dovrebbe legare ed equiparare informazione, cronaca e comunicazione pubblica), immaginiamo che cosa possa accadere quando a valutare la specifica competenza in comunicazione, sia un distinto burocrate a cui capita di occuparsi di tutto tranne che di comunicazione pubblica. Accade infatti che alcuni commissari durante i colloqui, sembrino del tutto estranei alle “pratiche della comunicazione pubblica” e attribuiscano invece, uno spropositato peso specifico a quesiti spesso fuori contesto o “autorefenziali”, vedi ad esempio quelli sul regime contrattuale dei primari o sulla sanità carceraria se stai facendo una selezione per l’Urp di una Asl (ebbene si, capita anche questo) o altri su bizantinismi amministrativi di varia natura. Come dire “primum vivere, deinde philosophare”, tanto farai l’impiegato e nessuno metterà in dubbio il metodo e il merito dell’esame.
Che fine fanno allora le domande-verifiche sul piano di comunicazione, la pubblicità istituzionale, il diritto e i diritti dell’informazione, il marketing pubblico, la customer satisfaction, la carta dei servizi, la sanità elettronica, l’accessibilità del sito web? Vengono raramente menzionate! Intanto Obama stanzia milioni di dollari per sistemi informatici capaci di controllare la spesa per la salute e potenziare la sanità elettronica. A proposito di informatica (altra fondamentale “skill”): il discorso è identico! In alcune pubbliche amministrazioni (non certo per colpa di chi ci lavora) sembra abbiano ancora il calendario fermo al 1990. Ci sia concesso citare altri due prototipi di quesiti: differenze tra ROM e RAM e procedure per inviare un pdf via mail. Roba da “Benvenuto su Scherzi a parte”! In tempi di web 2.0, social network, P.E.C., firma digitale, e-government, open source e banda larga, l’accertamento sull’informatica si riduce a “tanto”. Questa sarebbe la P.A. digitale? Mentre nel resto d’Europa si tirano già le somme sulla sostenibilità dell’I.T. e del paper less in merito a risparmio, efficienza ed inquinamento evitato (le tecnologie informatiche sono in assoluto le meno impattanti sull’ambiente), qui ci si interroga sulla differenza tra RAM e ROM e guai a mostrare stupore! Si rischia di fare la figura dell’ignorante o di un novello luddista! Ma se non si accertano queste competenze e se non è il comunicatore pubblico la persona qualificata a gestire e governare i servizi dell’information technology nella P.A., chi? Un deus ex machina calato dall’alto? Non è pensabile che nel 2010, proprio per un approccio leggero alla valutazione e per il mancato rispetto di una fondamentale regola di buon senso (giudizio affidato a competenti del settore) il concorso pubblico per l’Urp si debba trasformare in una misera gara al ribasso in cui sorgono legittimi alcuni dubbi: forse la P.A. più che comunicatori, nell’Urp vuole collocare monaci amanuensi? Forse la P.A. italiana considera l’Urp e la comunicazione pubblica inutili zavorre volute da leggi ancora più inutili? Forse la preparazione e l’aggiornamento sono limiti anziché opportunità? Emblematico è il recente caso di 10 finalisti ad una selezione al Consiglio Regionale della Basilicata, esclusi dal concorso per avere un titolo di studio superiore rispetto a quello richiesto! Esistono fortunatamente alcune eccezioni. Pensiamo al Servizio Comunicazione Istituzionale della Regione Puglia (diretto da Eugenio Iorio) e gli sforzi compiuti negli ultimi tre anni nel processo di modernizzazione e istituzionalizzazione della comunicazione pubblica, attraverso ad esempio strumenti come il S.I.C.I., primo modello in Italia di Sistema Integrato di Comunicazione e Informazione in Sanità. Spiace però verificare che tale “modello” sia spesso distante da chi opera “a valle” e che in sede di concorso, il controllato rischi di saperne più del controllore sull’argomento (ammesso sempre che venga chiesto!). In tutto questo, ancora una volta, comunicazione, trasparenza e qualificazione restano nell’angolo, ed emerge una pubblica amministrazione che in barba alle norme e allo spirito delle riforme, ritaglia anche al comunicatore un abito più a sua immagine e somiglianza che ad uso dei cittadini, sempre più amministrati e sempre meno “partecipati”. La conservazione è dura da sconfiggere e lascia sul campo ancora troppi feriti e mutilati (candidati e professionisti scoraggiati e cittadini privati di diritti e servizi). Anche su questo tema ciascuno di noi può sollecitare il cambiamento e alimentare un sano senso critico. L’Urp, nonostante lo sforzo quotidiano di tanti operatori sfiancati da burocrazia, disorganizzazione e vincoli finanziari, non può rischiare di diventare in futuro un bel chiosco in cui “si cercano fiori ma ti propongono gazze parlanti”(liberamente tratta da “Giugno ’73” di Fabrizio De Andrè “quel giorno non avevano fiori, peccato, quel giorno vendevano gazze parlanti”). Noi intanto restiamo critici, vigili e in cerca di fiori.

Sabino Ferrucci
Componente Direttivo Ass. Italiana di Comunicazione Pubblica
e Istituzionale – Delegazione Regione Puglia
sabino.ferrucci@gmail.com


(pubblicato su La Gazzetta dell'Economia del 12 giugno 2010)