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martedì 29 marzo 2011

Infedele di nome e di fatto


Non ci sono dubbi: se dovessimo scegliere un unico aggettivo per descrivere il format del talk show di Gad Lerner, in onda tutti i lunedì su La7, ce ne verrebbe in mente solo uno: infedele! Ovvi riferimenti a parte, proviamo a capirne il perché.
Il programma, che secondo i maligni rischierebbe di passare alla storia (anche ndr) per l’incursione telefonica di Berlusconi dello scorso 24 gennaio, può essere considerato “infedele” per almeno tre motivi: gli ospiti, la scenografia e i temi.
Nomi come quelli di Imma Vitelli, Ouejdane Mejri, Alfredo Mantica o Renata Pisu, solo per citare gli opinionisti dell’ultima puntata, non dicono molto al grande pubblico televisivo ma segnano di sicuro il primo evidente confine tra i talk show “nazional popolari” e quello di Lerner, caratterizzato da differenti “tele - visioni” del mondo.
La trasmissione è quindi “infedele” (ovvero “non conforme al più diffuso standard di riferimento”) perché sceglie ospiti unici, non riciclati e riciclabili e di conseguenza, con un punti di vista “eretici” rispetto ai più, magari già visti, sentiti e rilanciati mille volte nell’interminabile galassia mediatica moderna di agenzie, giornali, tv, radio e siti web.
L’ospite di professione di conseguenza è poco gradito e il “ricambio d’aria” è sempre assicurato. Non a caso, a quelli cosi detti ufficiali, citati sistematicamente in anticipo nel promospot del programma (insieme alle loro “inedite” foto!), si affiancano quasi sempre le seconde linee, interlocutori (ancor) meno illustri dei primi ma con la stessa capacità di graffiare e incidere sul dibattito, tutti seduti strategicamente nelle retrovie dello studio e pronti a lanciare spunti taglienti, come arcieri nascosti nella foresta antistante il terreno di battaglia in attesa dell’ok del comandante.
Si tratta solitamente di esperti sul campo, interlocutori capaci di restituire senso pratico alla conversazione, messo a volte a rischio da alcuni eccessi di dottrina. Questa indubbia ricchezza di punti di vista, rappresenta però anche un primo punto di debolezza: tanti ospiti, vuol dire poco tempo per gli interventi, nonostante il programma termini alle soglie della mezzanotte.
Passiamo adesso alla scenografia. Essenziale per catturare l’attenzione e la curiosità del telespettatore, lo studio che ospita il programma comunica da subito ai nostri occhi uno spazio aperto, un agorà in cui è possibile ragionare seduti su spartane poltroncine rosso fuoco e semplici sedie di legno, le stesse che troveremmo nelle piazze o nei circoli culturali di paese, sedie che contrastano plasticamente i comodi divani di molti talk show, così diverse e “infedeli” da far pensare al rapporto “sedie scomode uguale dibattito scomodo” vs. “poltrone comode uguale dibattito sonnolento”.
Ai lati dello studio, creativi murales con gli slogan che sintetizzano i temi della puntata, riproduzioni aggiornate dei manifesti 6x3 che riempiono le nostre città. I murales confermano il riferimento scenografico ad un atipico circolo televisivo in cui è presente l’Italia dotta al fianco dell’Italia proletaria, per quanto a volte nel programma sembri predominare la voce dell’intellighenzia milanese e dell’universo economico settentrionale che le gira intorno, non sempre ben rappresentato negli altri contesti televisivi.
Dulcis in fundo, la scelta e la gestione dei temi e dei titoli, originale collante nell’impalcatura generale della trasmissione, specchio preciso della mente del suo conduttore e vero spartiacque tra il programma di Lerner e gli altri talk. Le conseguenze dell’Amore, In cerca dell’anima, L’amore al tempo del rancore, La filosofia dei ricconi, Una riflessione sul crocefisso, questi alcuni titoli del programma che dichiarano l’originalità dei fatti e dei temi su cui dibattere. I temi infatti non sembrano obbligati ad inseguire la cronaca, ma piuttosto a prendere da questa solo lo spunto per percorrere poi autonomi sentieri di ricerca e di riflessione, consentendo ragionamenti e divagazioni meno emotivi e più approfonditi. Si cerca dunque di informare dialogando. Ne vien fuori dunque alla fine un format sicuramente diverso e per questo degno di essere definito (rispetto agli altri dei colossi Rai e Mediaset) “infedele di nome e di fatto”, infedele come il suo titolo e infedele come quasi tutte le conduzioni di Lerner di cui il programma è un organico “tutt’uno”. Si tratta di un appuntamento pieno di tanti piccoli punti di vista diversi e di altrettante piccole e grandi storie (a volte crude ed enormi) che gli altri media spesso preferiscono bypassare e che l’ex direttore del Tg1, con l’appoggio dei suoi vertici aziendali, ha deciso coraggiosamente e strategicamente di adottare nella prima serata del lunedì, depistando palinsesti e opinione pubblica televisiva.
Un “lusso” o forse un compito da tv pubblica, ben interpretato da un network privato sempre meno di nicchia e sempre più sotto l’incuriosita lente d’ingrandimento di pubblico e cultori della materia.

giovedì 24 marzo 2011

Niente di Personale di Antonello Piroso: bon ton e giornalismo passano al martedì.


Chi di voi finora la domenica sera era distratto dal dio pallone e si era rassegnato all’equazione “talkshow televisivo uguale caciara”, da questa settimana in poi, ha l’occasione per ricredersi guardando Niente di Personale, il programma di La7 di Antonello Piroso che dal 22 marzo è passato dal giorno festivo al martedì, dopo Otto e mezzo della Gruber.
Chiariamo subito che il cambio di palinsesto non è da attribuire al programma “in oggetto” ma ai deludenti ascolti de “Il Contratto – Gente di Talento” l’audace trasmissione di Sabina Nobile fin qui mandata in onda il martedì e da oggi riciclata al sabato pomeriggio, dopo il tg delle 13. Il tentativo di trasformare la ricerca di un contratto di lavoro a tempo indeterminato in reality televisivo non ha (fortunatamente! ndr) convinto gli ascoltatori.
Ex direttore del telegiornale de La7, da alcuni mesi affidato al guru Enrico Mentana, Piroso, continua senza batter ciglio (e sempre in maniche di camicia), la sua opera di normalizzazione del dibattito televisivo. Due i suoi programmi: Ahi Piroso in onda la mattina dalle 10 alle 11 circa e Niente di Personale.
Il format di NdP, nell’affollato mare di talk show italiani, è semplice e allo stesso tempo accattivante: ospiti di primo piano a cui dopo una breve presentazione, sono sottoposte 9 domande in ordine sparso accompagnate da fotografie e citazioni riprese sullo spartano wall che giganteggia nello studio.
Assolutamente banditi, schiamazzi e parolacce a garanzia di uno stile di conduzione sobrio e “fuori moda” in cui riescono a convivere bon ton, arguzia e quesiti di stampo anglosassone che garantiscono confronti a volte anche accesi ma mai urlati. Certamente lo scambio 1 a 1, protegge il dibattito da urla, voci accavallate e continue interruzioni della serie “a casa non staranno capendo nulla; se non la smettete vi tolgo la parola”. Siam sicuri però che Piroso sarebbe capace di tenere comunque a bada anche più di un interlocutore contemporaneamente, mantenendo fede all’ “etica” e ai dettami della sue interviste, spesso intervallate, come nel caso di Niente di Personale, da piacevoli e irrituali letture di romanzi o opere teatrali. Da segnalare poi le originali e coinvolgenti video sigle di Silvia Mattioli, costruite ad opera d’arte sui più scottanti temi di attualità.
L’esordio infrasettimanale di martedì 22, non è comunque passato inosservato anche (e soprattutto) per le presenze del catalizzatore Marco Travaglio, apprezzato editorialista de Il Fatto Quotidiano e punta di diamante di Anno Zero e dell’imprenditore e finanziere franco tunisino Tarak Ben Ammar, azionista de La7 e socio del nostro primo ministro. Risultato, oltre mezzo milione di telespettatori (527.000 con uno share del 2,17%). A completare il parterre di ospiti della “prima puntata”, il cantante Sergio Caputo, l’attrice Gabriella Pession, l’imitatrice Virginia Raffaele, Fulvio Abbate e Adriano Panatta coppia fissa del programma del mattino di Piroso. Un bell’esempio di tv ragionata che a un anno dalla nascita della secondogenita di casa Telecom Italia Media (La7d), contribuisce sicuramente ad arricchire e potenziare le possibilità di scelta del telespettatore.

lunedì 21 marzo 2011

Il Gioiellino, storia del crack Parmalat. "Se i soldi non ci sono, inventiamoceli!"

Il Gioiellino, bella pellicola del regista Andrea Molaioli sul crack Parmalat (produzione italo francese... guarda un po'...). Non un capolavoro, ma un film sicuramente da guardare, nonostante siam certi non farà sfracelli al botteghino e nonostante la cronaca (nerissima!) di quegli anni risulti a mio parere, un po' troppo "addolcita e compressa" da tempi ed esigenze cinematografiche.

Il film si presenta in ogni caso come una rara mosca bianca tra "gli immaturi manuali d'amore", "le vite facili degli amici miei" o "i maschi vs femmine da non giudicare", effimere pellicole che confermano in questi giorni (qualora ce ne fosse stato bisogno!) la definitiva decadenza del cinema italiano, farcito di "fotocopie in salsa Zelig"(con la Cortellesi,Bisio e Cristian De Sica che passano per “maestri”...sigh!).

Le buone interpretazioni di Toni Servillo (il cinico direttore finanziario), Remo Girone (“il proprietario”) e Sarah Felberbaum, senza dimenticare l'ottimo Lino Guanciale (vincitore del premio Gassman che interpreta il dirigente “pentito”), descrivono i mediocri retroscena che portano alla caduta del gigante del latte, tra incompetenza manageriale, gestione “creativa” delle finanze e totale assenze di controlli in un sistema economico, bancario (e borsistico…) forse troppo debole e interessato per comprendere e governare efficacemente i successi delle aziende (sane) e soprattutto per prevenire coscientemente le misere disfatte di certa allegra imprenditoria made in Italy.

Sullo sfondo, un italietta di provincia piena di segretarie sorde, cieche e mute, yes man, giornalisti "distratti" e banchieri onnipotenti, unici reali "deus ex machina" dello stivale.

Sufficiente la colonna sonora che avrebbe forse meritato una ricerca più approfondita specie per accompagnare e impreziosire le scene più significative del racconto (dichiarazione del fallimento societario su tutte).

Peccato infine che manchino espliciti riferimenti alle vittime del patron del latte, ancora oggi in attesa di risarcimenti, un assenza chissà, forse voluta per richiamarne, alla fine, un'altra: quella della giustizia.

Giudizio finale: 7 euro spesi bene!