
Non ci sono dubbi: se dovessimo scegliere un unico aggettivo per descrivere il format del talk show di Gad Lerner, in onda tutti i lunedì su La7, ce ne verrebbe in mente solo uno: infedele! Ovvi riferimenti a parte, proviamo a capirne il perché.
Il programma, che secondo i maligni rischierebbe di passare alla storia (anche ndr) per l’incursione telefonica di Berlusconi dello scorso 24 gennaio, può essere considerato “infedele” per almeno tre motivi: gli ospiti, la scenografia e i temi.
Nomi come quelli di Imma Vitelli, Ouejdane Mejri, Alfredo Mantica o Renata Pisu, solo per citare gli opinionisti dell’ultima puntata, non dicono molto al grande pubblico televisivo ma segnano di sicuro il primo evidente confine tra i talk show “nazional popolari” e quello di Lerner, caratterizzato da differenti “tele - visioni” del mondo.
La trasmissione è quindi “infedele” (ovvero “non conforme al più diffuso standard di riferimento”) perché sceglie ospiti unici, non riciclati e riciclabili e di conseguenza, con un punti di vista “eretici” rispetto ai più, magari già visti, sentiti e rilanciati mille volte nell’interminabile galassia mediatica moderna di agenzie, giornali, tv, radio e siti web.
L’ospite di professione di conseguenza è poco gradito e il “ricambio d’aria” è sempre assicurato. Non a caso, a quelli cosi detti ufficiali, citati sistematicamente in anticipo nel promospot del programma (insieme alle loro “inedite” foto!), si affiancano quasi sempre le seconde linee, interlocutori (ancor) meno illustri dei primi ma con la stessa capacità di graffiare e incidere sul dibattito, tutti seduti strategicamente nelle retrovie dello studio e pronti a lanciare spunti taglienti, come arcieri nascosti nella foresta antistante il terreno di battaglia in attesa dell’ok del comandante.
Si tratta solitamente di esperti sul campo, interlocutori capaci di restituire senso pratico alla conversazione, messo a volte a rischio da alcuni eccessi di dottrina. Questa indubbia ricchezza di punti di vista, rappresenta però anche un primo punto di debolezza: tanti ospiti, vuol dire poco tempo per gli interventi, nonostante il programma termini alle soglie della mezzanotte.
Passiamo adesso alla scenografia. Essenziale per catturare l’attenzione e la curiosità del telespettatore, lo studio che ospita il programma comunica da subito ai nostri occhi uno spazio aperto, un agorà in cui è possibile ragionare seduti su spartane poltroncine rosso fuoco e semplici sedie di legno, le stesse che troveremmo nelle piazze o nei circoli culturali di paese, sedie che contrastano plasticamente i comodi divani di molti talk show, così diverse e “infedeli” da far pensare al rapporto “sedie scomode uguale dibattito scomodo” vs. “poltrone comode uguale dibattito sonnolento”.
Ai lati dello studio, creativi murales con gli slogan che sintetizzano i temi della puntata, riproduzioni aggiornate dei manifesti 6x3 che riempiono le nostre città. I murales confermano il riferimento scenografico ad un atipico circolo televisivo in cui è presente l’Italia dotta al fianco dell’Italia proletaria, per quanto a volte nel programma sembri predominare la voce dell’intellighenzia milanese e dell’universo economico settentrionale che le gira intorno, non sempre ben rappresentato negli altri contesti televisivi.
Dulcis in fundo, la scelta e la gestione dei temi e dei titoli, originale collante nell’impalcatura generale della trasmissione, specchio preciso della mente del suo conduttore e vero spartiacque tra il programma di Lerner e gli altri talk. Le conseguenze dell’Amore, In cerca dell’anima, L’amore al tempo del rancore, La filosofia dei ricconi, Una riflessione sul crocefisso, questi alcuni titoli del programma che dichiarano l’originalità dei fatti e dei temi su cui dibattere. I temi infatti non sembrano obbligati ad inseguire la cronaca, ma piuttosto a prendere da questa solo lo spunto per percorrere poi autonomi sentieri di ricerca e di riflessione, consentendo ragionamenti e divagazioni meno emotivi e più approfonditi. Si cerca dunque di informare dialogando. Ne vien fuori dunque alla fine un format sicuramente diverso e per questo degno di essere definito (rispetto agli altri dei colossi Rai e Mediaset) “infedele di nome e di fatto”, infedele come il suo titolo e infedele come quasi tutte le conduzioni di Lerner di cui il programma è un organico “tutt’uno”. Si tratta di un appuntamento pieno di tanti piccoli punti di vista diversi e di altrettante piccole e grandi storie (a volte crude ed enormi) che gli altri media spesso preferiscono bypassare e che l’ex direttore del Tg1, con l’appoggio dei suoi vertici aziendali, ha deciso coraggiosamente e strategicamente di adottare nella prima serata del lunedì, depistando palinsesti e opinione pubblica televisiva.
Un “lusso” o forse un compito da tv pubblica, ben interpretato da un network privato sempre meno di nicchia e sempre più sotto l’incuriosita lente d’ingrandimento di pubblico e cultori della materia.
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