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martedì 28 dicembre 2010

Brevi riflessioni e divagazioni su “Alice senza Niente”. A Pietro De Viola



Innanzitutto, complimenti a Pietro! Complimenti per il racconto; complimenti “anche e semplicemente” per il (solo) fatto di averlo terminato, perché è questo il primo grande scoglio da superare: crederci e raggiungere il traguardo. Complimenti per l’intelligente campagna di diffusione sulla rete, davvero intelligente, d’avanguardia ed efficace, se si considera che non è costata nulla e che ha prodotto una gran bella opera.

L’opera. Passiamo dunque all’ “opera”.

A mio modesto parere il racconto ha una sua “contemporanea” particolarità che lega totalmente e “obbligatoriamente” lo schema narrativo al contenuto, rendendolo a tutti gli effetti un romanzo “odierno”.

Il pathos presente nel libro non scaturisce infatti dall’evoluzione di una o più storie, uno o più personaggi, uno o più intrecci (non c’è alcun “climax ascendente” come direbbero i critici letterari) ma vive nella descrizione stessa della quotidianità dell’unica protagonista.

Alice sa che non ci sono e non ci potranno essere miglioramenti significativi nella sua vita e quindi non può esserci narrazione dinamica nella descrizione della sua “fabula”.

L’odierna realtà non consente atti eroici o rivoluzioni di cui essere protagonisti, ideali o valori da difendere strenuamente in vista di un risultato plausibile e accettabile, perché risultati non possono esserci; non ci sono battaglie da combattere perché il risultato è scontato e si chiama sconfitta, bocciatura o mancata assunzione.

Per questo, a cause di colpe non sue, la vita di Alice è ferma ad un presente incompiuto e il suo racconto legato ad un tempo sempre uguale (ogni giorno è uguale ad un altro di chissà quanti anni prima) e quindi ancora più incompiuto della sua esistenza.

In questo aspetto della narrazione, c’è a parer mio, tutta la modernità e l’attualità del racconto. I “nostri” romanzi (quelli della “nostra” generazione”) sono “per legge” privi di possibili vere svolte perché così sono le nostre esistenze (senza un lavoro stabile, una sede stabile, un rapporto stabile, un conto stabile, un progresso di carriera etc. etc.).

Ecco allora perché lo stile e il contenuto “moderno”, non può che essere questo, sia che si descriva l’alienante esistenza di un ventottenne precario, sia che, introducendo una personale divagazione/provocazione rispetto ai temi di Pietro De Viola, si parli della mediocre esperienza di vita degli “impiegati 1000 euro”, ovvero l’anelato traguardo delle Alice di tutto il mondo.

Anche loro tra le righe sono biasimati, pur essendo “fortunati impiegati delle grandi catene di distribuzione”; in realtà appaiono alienati quanto Alice, tanti automi rimbecilliti da tv e prodotti firmati, tutti uguali agli altri, probabilmente più vuoti ed esasperati della stessa Alice precaria.

Le due “narrazioni” non sono in contrasto. Non esiste un vero e proprio duello “precario vs impiegato” (anche se per Alice non è ammissibile che un lavoratore possa lamentarsi!).

In realtà, lo ripeto, la questione è più ampia, è generazionale (anche se l’autore non sarà probabilmente d’accordo con me, essendo questa tesi in contrasto con il libro): la vita del moderno lavoratore 1000 euro (un autentico dio per Alice) è la conseguenza tragica (ma paradossalmente paradisiaca!) del precariato.

Con 1000 euro si sta meglio che con zero euro ma non c’è comunque vera svolta e si torna dunque al punto di partenza nella più classica metafora del gatto che si morde la coda. Nessuno oggi sembra realmente interessarsi dell’inserimento dei giovani nella società, a iniziare forse proprio da loro, eterni iscritti al club del “non mi riguarda”.

La modernità non assicura condizioni di lavoro e futuro stabile ai cosi detti “giovani” (dottorandi,laureati, diplomati etc.) ma quando le “concede” rischiano di essere frustranti quanto le prime; ecco allora le cassiere laureate esaurite e depresse da clienti incontentabili e turni massacranti; ecco gli addetti alla selezione del personale che fingono di essere interessati alla causa del recruitment aziendale leggendo “stancamente” un foglio preparato da chissà quale dirigente di chissà quale filiale; ecco impiegati costretti a spostarsi ogni tre mesi da una regione all’altra; ecco ragazze a cui vietano di restare in cinta, etc. etc.

De Viola ha il merito di fotografare molto bene una parte di questa realtà con una “storia senza troppe storie”, primo sguardo su un tema ahinoi molto complesso che necessiterebbe ovviamente di tante altre analisi e “ribellioni” e di altri racconti “moderni”.


CONTINUA...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao, anch'io ho letto Alice senza niente, sono contenta di condividere con te la stessa visione sulla
" particolarità che lega totalmente e “obbligatoriamente” lo schema narrativo al contenuto". Non sapevo come esprmerlo, tu hai trovato le parole giuste!
Ludo

Anonimo ha detto...

grazie Ludo! Notte! ; -) Sab