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mercoledì 27 aprile 2011

P.S.R. 2007 – 2013 e biomasse: sarà vera gloria?





Si chiamano PSR, acronimo per Programmi di Sviluppo Rurale, gli strumenti su cui la Commissione Europea scommette ancora una volta (forse l’ultima) per risollevare le sorti malconce dell’agricoltura del vecchio continente.

Schiacciata dalla concorrenza internazionale, il calo interno dei consumi di qualità e l’aumento costante di fertilizzanti e carburanti (vedi soprattutto le produzioni in serra),per l’agricoltura comunitaria e in particolar modo per quella italiana, le ancore di salvezza si chiamano multifunzionalità e diversificazione (produttiva, paesaggistica, turistica etc.), imperativi categorici dei nuovi e vecchi imprenditori della terra, tutti in fervida attesa dei protocolli della Nuova PAC.

Tra le misure previste dai regolamenti europei che disciplinano le attività dei PSR, gestiti “sussidiariamente” dalle regioni, trovano nuovamente largo spazio quelle destinate al sostegno delle cosiddette agroenergie, ideali punti di raccordo tra esigenze di diversificazione economica e tutela ambientale (Kyoto docet).

Nello specifico, si ripropone il contributo finanziario per la realizzazione di nuovi impianti energetici alimentati da biomasse (con una potenza limitata a 1 MW), contestualmente all’acquisto di attrezzature per la cessione in rete e conseguente vendita dell’energia in surplus.

L’obiettivo sotteso, in nome di multifunzionalità e diversificazione agricola, è la creazione delle “filiere chiuse”, quelle che per i profani della materia, consentono di utilizzare il prodotto in tutte le sue componenti, anche al di là dei suoi tradizionali usi commerciali e alimentari, con indubbi impatti positivi sul ciclo dei rifiuti e l’ambiente.

Sulla carta tutto ok, ma anche le biomasse sembrano irte di spine. Spostandosi infatti dai regolamenti di Bruxelles ai campi delle nostre regioni, le cose sembrano essere spesso molto meno limpide e “convenienti”, almeno per due ordini di motivi.Parte della comunità scientifica e dell’opinione pubblica (a volte strumentalizzata dalla prima) non concordano sugli effettivi benefici degli impianti di biomasse installati nelle prossimità dei centri urbani o rurali.

Si è ancora dubbiosi sui benefici del “petrolio verde” in termini di reale efficienza energetica (strettamente legata alla variabilità delle condizioni ambientali e dal grado di ottimizzazione tecnica delle colture) e competitività economica, se non sostenuti ad esempio da adeguate politiche di sostegno fiscale e da una severa pianificazione che distingua le produzioni agro energetiche da quelle alimentari.

E qui c’è l’ assist con il secondo motivo “frenante” che richiama a bomba, gli intenti portanti dei succitati Programmi di Sviluppo Rurale, ovvero lo sviluppo sostenibile delle aree rurali europee, delle relative produzioni tipiche e dei contesti storici e paesaggistici in chiave turistica.

C’è compatibilità tra riqualificazione del territorio rurale e impianti a biomasse? Gran parte dell’opinione pubblica, ha espresso in questi anni un secco NO di matrice assolutamente bipartisan. Quando nelle aree agricole dismesse si punta alle produzioni tipiche certificate e di qualità (da contrapporre a latte, grano, cereali e fiori extra UE) non c’è il rischio che i camini degli impianti possano risultare solo inutili colonne fumanti che impattano negativamente su territori che (proprio l’UE) vorrebbe destinare a ospitare agriturismi e masserie didattiche?

Il tema è di strettissima attualità e va esaminato con attenzione, proprio nei giorni in cui si ridisegnano con un discusso decreto i confini degli incentivi per impianti solari ed eolici e si intensificano le campagne contro l’inondazione di pale eoliche e specchi fotovoltaici nella campag a italiana, ma questo tema meriterebbe una puntata a parte.

Concludendo, sarebbe utile e necessario sulla vexata quaestio “biomasse si – biomasse no”, tener conto delle diverse posizioni e degli effetti che strumentalizzazioni ed esasperazioni rischiano di produrre in contesti sociali ed economici ancor più bisognosi di innovazione, crescita e cambiamento come quelle rurali, e ancor più malati di immobilismo e conservazione di altre aree dell’Europa e della nostra Italia.

Il 2013 non è comunque lontano e se la profezia dei Maya non dovesse avverarsi, allo scadere dei PSR, potremo tirare facilmente le somme.

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